Max Deste e “Il desiderio di cadere”, tra psicoanalisi e marxismo

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Max Deste e “Il desiderio di cadere”, tra psicoanalisi e marxismo

Ciao Max, felici di averti qui con noi. Cominciamo subito! Questa volta non parliamo di musica, ma del tuo romanzo ‘Il desiderio di cadere’. Da dove ti è venuta l’ispirazione per il romanzo?

L’idea generale è sempre quella di raccontare il mondo che mi circonda, cercando di comprenderlo meglio, e se possibile anche di dargli un senso. E io in questo nostro presente sempre più complesso ci vedo situazioni paradossali, forze opposte, crisi varie su più fronti. Dunque, la questione di partenza è la seguente: continuare a lottare per questa umanità, con un atteggiamento virtuoso, altruista e compassionevole, oppure lasciarsi andare e consumare edonisticamente la nostra vita, o addirittura accorciarla? Il protagonista di questa storia si trova spesso a vivere questo dubbio per così dire amletico. Oltre a tutto ciò, l’immagine iniziale che mi ha ispirato ad accendere il computer e iniziare una storia è quella di una cascata e io che guardo giù e provo un forte senso di vertigine.

Pensando al tuo libro, mi è venuto in mente “La bambina che amava Tom Gordon”, un romanzo di Stephen King, che parla di una bambina persa in una riserva naturale per diversi giorni. Anche se la storia è diversa, si parla anche nel tuo libro di “sopravvivenza disperata”. Ce ne vuoi parlare?

In effetti, c’è un lungo secondo piano narrativo, in cui il protagonista rivive i sette giorni di sopravvivenza in un bosco, dopo essere caduto da una cascata insieme a sua moglie, durante il suo viaggio di nozze. Per sette giorni, il protagonista dovrà sopravvivere, strisciando letteralmente, dato che ha le articolazioni e il bacino rotti. Per non lasciarsi andare alla disperazione, rivive sia la musica dei Pink Floyd, sia cerca di applicare la tecnica della mindfulness, che lo aiuta ad accettare il momento presente. Si tratta di un piano narrativa piuttosto avventuroso. L’atmosfera è quella del bosco, un po’ magica e paurosa, con tutto il suo carico simbolico.

Nel tuo romanzo si parla di rinascita, questa rinascita in parte è dovuta ad un bravo terapeuta. Pensi che un bravo psicologo possa migliorare la nostra vita?

In realtà non si tratta di uno psicologo, ma di un guaritore che si sta per candidare in politica con delle idee marxiste, insomma, un rivoluzionario che in passato è stato radiato dall’ordine dei medici perché non prescriveva abbastanza farmaci, e soprattutto perché guariva i suoi pazienti grazie alla psico-magia ispirata da Alejandro Jodorowsky. Gli propone infatti di trascrivere tutto ciò che lo turba e poi fare un bel falò del racconto. Per quanto riguarda la seconda domanda, non saprei dirti. La funzione per così dire psicoanalitica nel mio romanzo è un pretesto letterario, nello stile del romanzo di Italo Svevo “La coscienza di Zeno”, un autore che amo in particolare e nel quale mi ci rivedo per più motivi. Così come nel romanzo di Svevo, anche nel mio credo che nel pretesto della psicoanalisi ci sia comunque molta ironia. Infine, certamente l’igiene mentale non va trascurata, anzi, è fondamentale così come lo è quella fisica. Credo però che ci siano tanti percorsi possibili per prendersi in mano e lavorare su sé stessi. Lo scopo è quello di imparare a stare bene accettando quello che siamo. Dobbiamo tutti imparare ad accontentarci, lasciare scivolare via i brutti pensieri o le emozioni negative, cercando di mettere il nostro ego tra parentesi. Ad esempio, già fare una bella passeggiata in un bosco mi sembra un’ottima terapia! Ma quella migliore, resta sempre una buona lettura…

Quanto tempo è stato necessario per la stesura del libro? E quali difficoltà hai incontrato?

Circa quattro anni, più un altro anno prima di revisione in vista della pubblicazione. Si tratta di un romanzo molto lungo. Inizialmente, aveva oltre cinquecento pagine. Ho dovuto scremare, togliere, anche se questo esercizio in realtà non è così difficile. Anzi, il lavoro di “lima” è uno dei momenti che preferisco. Le difficoltà principali per me sono state iniziare con un incipit convincente, significativo, abbastanza carico di energia per poi poter continuare, e concludere. Ho inoltre cambiato anche un paio di finali prima di trovare quello definitivo. Non volevo terminare in modo troppo esplicito. Secondo me era importante lasciare spazio all’immaginazione del lettore

Ci puoi descrivere le sensazioni che hai provato nell’immedesimarti nel protagonista del tuo romanzo? È stato difficile?

Mi rifaccio all’insegnamento pirandelliano dei “6 personaggi in cerca di autore”. In sintesi, i personaggi vivono di vita loro. Si tratta di metterli in scena e poi raccontare quello che fanno, e immaginare quello che provano. A differenza dei primi due romanzi, scritti in terza persona, certamente questo scritto in prima persona mi ha coinvolto maggiormente da un punto di vista emotivo.

Cosa, principalmente, hai voluto trasmettere ai tuoi lettori? La frustrazione di Giacomo (il protagonista)? La speranza nella sua rinascita? Oppure solo l’imprevedibilità del quotidiano?

L’idea che anche nei momenti più difficili l’uomo possa trovare la forza per reagire.

Siamo ai saluti. Quali sono i tuoi progetti per il prossimo futuro?

Da alcuni anni di lavoro, ho appena terminato un poema narrativo, e mi piacerebbe dunque pubblicarlo ancora quest’anno Oltre a questo, ho in cantiere sia un nuovo romanzo, questa volta per ragazzi, sia una raccolta di racconti. E infine, sto preparando un nuovo album musicale.

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